Morto in guerra


Emanuele Giordana - Lettera22


Il caporal maggiore Alessandro Di Lisio ucciso in un attacco a un convoglio nei pressi di Farah. E’ la quattordicesima vittima italiana di una guerra sempre più sanguinosa. E Obama accenna a una “exit strategy”.


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Morto in guerra

Il primo caporal maggiore Alessandro di Lisio da Campobasso aveva solo 25 anni. E tra un po’ sarebbe tornato a casa. In missione da meno di quattro mesi in Afghanistan come esperto artificiere dell’Ottavo genio guastatori della Folgore, è rimasto vittima proprio di una bomba. Di quello che la guerriglia mette sul ciglio della strada e che può comandare a distanza. E’ la 14ma vittima italiana di questa guerra non dichiarata e che, ancora ieri, risultava ammantata del sacro crisma dell’operazione di pace. Secondo le informazioni diffuse dallo Stato maggiore della Difesa, nella mattinata di ieri a circa 50 chilometri a nord est di Farah, la zona che ricade in parte sotto il controllo italiano, una pattuglia di paracadutisti della Folgore e del Primo Reggimento Bersaglieri è stata coinvolta nella deflagrazione di una bomba artigianale posizionata lungo la strada. L’esplosione ha coinvolto solo il primo mezzo, quello su cui viaggiava Di Lisio assieme ad altri tre parà rimasti feriti ma fuori pericolo. Per Di Lisio invece, la corsa fino all’ospedale non è servita a nulla. La colonna coinvolta nell’attacco era diretta a una caserma afgana a Farah dopo che un rinforzo era stato chiesto dagli afgani per poter terminare i lavori di costruzione della struttura. Di Lisio aveva un suo profilo sul social network di Facebook. Più volte aveva parlato apertamente di essere in guerra. “La guerra è uno sporco lavoro… ma qualcuno deve pur farla…”, aveva scritto nel suo ultimo messaggio, l’8 luglio. “mancano soltanto tre mesi di guerra… solo tre mesi”, in un altro messaggio del 25 giugno. Nel suo profilo diceva di essere politicamente “troppo di destra”.
Secondo il capo di stato maggiore della missione multinazionale Nato Isaf, il generale Marco Bertolini, l’attentato non era mirato contro unità italiane, ma contro >Forze Nato in generale, come dimostrerebbero le numerose perdite subite da altri contingenti negli ultimi giorni. Può darsi che Bertolini abbia ragione e, in effetti, se gli afgani devono parlare male di qualcuno, la croce la buttano addosso sempre ad americani britannici, soprattutto per gli effetti dei bombardamenti e delle vittime civili che ne conseguono. Ma la consolazione è magra e ciò che appare a noi un’importante differenza, agli afgani sfugge spesso totalmente.
Il nodo vero resta la guerra e un’escalation che, più che per un numero di vittime, sembra finita negli incubi dei parlamenti di mezzo mondo per lo stillicidio temporale. Quanto tempo ancora in Afghanistan? Se lo chiedono canadesi e britannici e persino gli americani. Anche i democratici, compagni di partito di Obama che fanno pressing sul presidente. I guai più grossi al momento li passa Gordon Brown: ieri nel Regno Unito sono arrivate, avvolte nell’Union Jack, le salme degli otto militari britannici uccisi in sole 24 ore la scorsa settimana. I parlamentari gli chiedono conto di spese, vittime, impegni e tempo. Ieri il presidente ha detto che come tutti, anche lui cerca una efficace strategia d’uscita dall’Aghanstan, la famosa “exit strategy”. Lo ha dichiarato durante un incontro alla Casa Bianca col premier olandese (gli olandesi fan parte delle truppe in prima linea) Jan Peter Balkenende. “Tutti noi cerchiamo una strategia d’uscita efficace dove sempre più l’esercito dell’Afghanistan, la polizia dell’Afghanistan, i tribunali dell’Afghanistan stanno assumendo responsabilità sempre maggiori per la tutela della loro difesa”: “Se avremo un approccio più efficace allo sviluppo economico dell’Afghanistan –ha detto ancora Obama- allora la mia speranza è che riusciremo ad avviare la transazione in una fase differente dall’Afghanistan”. Il presidente americano sembra in effetti l’unico ad aver in mente un piano che superi la mera opzione militare. Ma per ora è ancora una nebulosa che, per quanto si vede, sta passando soprattutto per la vasta operazione nell’Helmand, sul fronte dell’oppio. La scommessa è che i suoi 4mila marine, appoggiati dai britannici, facciano piazza pulita dei talebani nelle aree di produzione del papavero. Ma, per ora, la resistenza incontrata è stata poca e i talebani se ne stanno tranquilli nei propri santuari (spesso le famiglie nei villaggi occupati) aspettando tempi migliori. Per colpire, come hanno fatto a Farah, senza doversi impegnare in un attacco frontale che li vedrebbe facilmente soccombere. Mordi e fuggi. Aspettando che i marine si ritirino o forse li attaccheranno con azioni mirate (ieri due soldati statunitensi sono stati uccisi in un attacco nel sud del Paese). La scommessa sono le elezioni presidenziali del 20 agosto

Fonte: il Manifesto

15 luglio 2009

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