Un messaggio per gli uomini


Rafia Zakaria


Gli uomini pachistani contro l’Aurat march (la marcia per l’8 marzo) organizzata dalle donne


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Un virus sta sconvolgendo il mondo. Sono state chiuse frontiere, cancellati voli, mandati a monte progetti. È in arrivo un enorme contraccolpo economico. Vicino a casa mia, a Karachi, probabilmente a causa di una fuga di gas tossici, sono morte quattordici persone (forse più). I crimini rimangono impuniti, gli innocenti vengono molestati mentre i colpevoli girano liberi. I poveri vengono schiacciati e i ricchi stanno senza far niente.

Ma niente di tutto questo preoccupa un’ampia fetta della popolazione maschile pachistana. A preoccuparli è l’Aurat march (la marcia per l’8 marzo) che, anche solo osando aver luogo, attacca il senso di superiorità che gli uomini danno per scontato da sempre. Nelle ultime settimane questi ferventi oppositori della marcia si sono impegnati a diffondere falsità sulle manifestazioni simili che dovrebbero avere luogo in tutto il paese l’8 marzo. A volte i loro attacchi avvengono online: un uso spietato di Twitter e Facebook, con tanto di foto false di cartelli e slogan. In altri casi sono scesi in piazza. Un uomo, di fronte a un centro commerciale di Karachi, sicuramente incitato dalle denunce di un qualche leader religioso, ha dichiarato la sua contrarierà alle manifestazioni esponendo un cartello in cui era scritto: “Gli uomini sono i protettori delle donne”. Ipocrita come pochi, si è dimenticato di spiegare cosa succede quando una donna vuole proteggersi da sola.

Nel corso di una trasmissione televisiva uno di questi uomini, con un ego gonfio fino a scoppiare, ha fatto la lista delle sue rimostranze e obiezioni. Alcune erano dirette contro le donne in generale, altre specificamente alle temerarie (come osano?) organizzatrici dell’Aurat march. Quest’uomo, anche lui un opinionista, particolarmente abile nel fingere di essere una voce minoritaria e fuori dal coro, si è opposto alla marcia sostenendo che fosse “oscena”. Con voce forte e contrariata, esibendosi nella classica e sperimentata tecnica del protestare per essere stato interrotto (da una donna, nientemeno), ha affermato che l’evento discriminava lui in quanto uomo, e quindi tutti gli uomini. Organizzare una marcia per le donne era, secondo lui, un tentativo di escludere gli uomini pachistani divenuti improvvisamente inermi.

La discriminazione e la sua cugina esclusione hanno luogo quando una persona dotata di potere lo usa per trattare le persone in maniera diversa
Fermiamoci qui, perché la stupidità di una simile affermazione, di cui ogni donna pachistana ha sentito numerose iterazioni e variazioni, richiederebbe uno spazio a sé. La discriminazione e l’esclusione hanno luogo quando una persona dotata di potere lo usa per trattare le persone in maniera diversa. Prendiamo l’esempio degli uomini pachistani, che hanno cospirato per essere certi che gli uomini, e non le donne, avessero il diritto di divorziare unilateralmente dalle mogli. Si tratta di un atto di discriminazione poiché gli uomini in Pakistan hanno più potere delle donne (altrimenti una simile realtà non potrebbe semplicemente esistere). Ed è discriminatorio perché il potere viene usato per trattare le persone in maniera diversa.

Discriminazione ed esclusione dipendono dal potere di cui un gruppo, in questo caso gli uomini, godono in una società. Le donne pachistane, che non possono camminare per strada senza essere molestate e che a casa devono fare i conti con livelli altissimi di violenza, non hanno questo potere. Poiché non hanno potere in quanto gruppo, è ridicolo sostenere che stiano “discriminando” gli uomini escludendoli dall’Aurat march o in altri modi. L’organizzazione collettiva di chi è senza potere non è una reiterazione dei peccati dei potenti, bensì un tentativo di rovesciare le crudeltà di questi ultimi.

Poi ci sono le ipocrite accuse contro i cartelli “osceni”. Quello al centro delle discussioni della trasmissione televisiva era “il mio corpo, la mia scelta”. L’accusa stessa è rivelatrice: il tipico cervello maschile pachistano è così volgare e degenerato che la semplice affermazione che le donne abbiano, al pari degli uomini, il diritto all’autonomia del loro corpo è considerata inaccettabile nello spazio pubblico. Come ha giustamente affermato la scrittrice Bina Shah, la condizione dei diritti delle donne in Pakistan è tale che gli uomini possono fare i loro bisogni in pubblico, sotto gli occhi di tutti e senza riguardo per gli altri, ma una donna che reclama il controllo del suo stesso corpo viene considerata “oscena”. Che cosa vergognosa.

Presunti progressisti
In un luogo così sordido, la situazione, per le donne è terribile. I nemici dell’Aurat march – con le loro frasi volgari, i loro insulti e le accuse inventate – sono la prova che una simile marcia è necessaria. Ogni anno l’odio riversato sulle donne che osano organizzarne una, anche solo un giorno su 365, dimostra quanto facilmente gli uomini pachistani si sentano minacciati. Il disagio provato da uomini teoricamente istruiti e illuminati, quando devono affrontare un gruppo di donne che reclamano i loro diritti, è la prova che il nemico della donna pachistana non è solo l’uomo analfabeta o ignorante, ma anche il presunto progressista, il tipo consapevole e quello cool.

L’Aurat march è importante perché gli uomini pachistani si rifiutano di accettare che le donne pachistane siano cittadine dotate di uguali diritti. Vogliono affermare la loro superiorità sul posto di lavoro, per strada, nei parchi, nelle scuole, e così via. Il loro disagio nei confronti di una donna che reclama un’uguaglianza, garantita per legge, ha fatto sì che le donne siano ammissibili e tollerabili solo quando sottolineano e sostengono la superiorità maschile. Marciare, mostrandosi in pubblico, reclamando il diritto fondamentale a essere in quello spazio pubblico, pungola e infastidisce il loro ego delicato, il fragile senso di sé cresciuto e coccolato con costanti tributi alla loro intima superiorità e al loro sentimento di poter decidere chi fa cosa, dove, e quando.

Gli uomini pachistani non amano che le donne pachistane scendano in piazza. Lasciatemi riformulare: gli uomini pachistani non amano che le donne pachistane scendano in piazza senza il permesso degli uomini pachistani.

L’Aurat march avrà luogo. A fermarla non saranno insignificanti reclami depositati in tribunale, subdole filippiche in trasmissioni tv o squallidi paragoni sui social network. Insistendo con il loro diritto a essere visibili, a scrivere quel che vogliono sui loro striscioni, a partecipare a un qualcosa che è rivolto a loro e fatto da loro, le donne pachistane dimostreranno agli uomini pachistani che è troppo tardi per fermarle, che loro non tollereranno le molestie e gli abusi sopportati dalle loro madri, nonne e bisnonne. Il mondo sta cambiando, i tempi stanno cambiando, le donne pachistane si stanno rivoltando e nessun uomo dalla mente contorta e accecata dall’ego potrà fermare l’onda in arrivo delle donne in marcia.

, Dawn, Pakistan

Internazionale 7 marzo 2020 

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano pachistano Dawn.

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