Bloccata la nave degli ebrei


Michele Giorgio, Il Manifesto


Al ministero degli esteri israeliano che ha accusato i pacifisti di aver attuato una «provocazione» e «di versare benzina sul fuoco dell’odio verso Israele nel mondo», ha risposto Reuven Moskovitz. «Vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in un amico».


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Bloccata la nave degli ebrei

«Veniamo da Famagosta. A bordo ci sono cittadini britannici, americani, tedeschi e israeliani. Proseguiamo sulla nostra rotta». Con queste parole Glyn Secker, il comandante della nave ebraica «Irene», diretta a Gaza per portare solidarietà alla popolazione palestinese da anni isolata e sotto embargo, ha risposto ieri alle intimazioni a recarsi al porto di Ashdod o a quello egiziano di el Arish lanciate da una unità da guerra israeliana. Un gesto di fermezza che, di fatto, ha dato il via all’assalto della sua piccola imbarcazione a vela da parte della Marina israeliana.
E mentre nel mare davanti a Gaza pacifisti ebrei e israeliani vivevano ore di paura e tensione pur di affermare il rispetto del diritto internazionale e dei diritti dei palestinesi, un altro cittadino israeliano, il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, illustrava all’Onu la sua proposta di «scambio di popolazioni» tra Israele e l’Anp di Abu Mazen nel quadro di un eventuale accordo definitivo tra le due parti. Un altro duro colpo inferto al milione e mezzo di cittadini israeliani di etnia palestinese (gli arabo israeliani). Il ministro degli esteri spinge per la deportazione della minoranza araba nei territori del futuro Stato di Palestina, in cambio dell’evacuazione di alcune colonie ebraiche in Cisgiordania.
Una proposta che, peraltro, non ha fondamento nel diritto internazionale poiché gli arabo israeliani vivono nella loro terra mentre i coloni israeliani si sono insediati nei Territori occupati palestinesi in violazione di risoluzioni e convenzioni internazionali. Il premier israeliano Netanyahu ha preso le distanze dal discorso di Lieberman.
L’abbordaggio del catamarano ebraico è avvenuto a 20-25 miglia dalla costa. Un paio di motoscafi militari veloci si sono affiancati alla «Irene», bloccandola. A bordo dell’imbarcazione pacifista sono saltati uomini delle forze speciali israeliane che poi hanno fatto rotta verso Ashdod. Passeggeri ed equipaggio non hanno tentato alcuna resistenza attiva, come avevano preannunciato. Ma sono ugualmente finiti tutti in manette, giovani e anziani. I soldati hanno colpito il refusenik Jonathan Shapira con una scarica di pistola «Taser» tramortendolo. L’ex militare non avrebbe riportato serie conseguenze. «Come sia andata in quei momenti potranno dircelo solo i passeggeri della «Irene» – precisa Miri Weingarten, portavoce della spedizione pacifista ebraica contro il blocco di Gaza -. Noi a terra non abbiamo più avuto notizie dopo l’abbordaggio, i telefoni cellulari e satellitari dei nostri compagni sono stati sequestrati e spenti».
Nel pomeriggio la professoressa Nurit Peled Elhanan, nota pacifista israeliana e moglie di uno dei passeggeri, Rami Elhanan (la coppia ha perduto una figlia nel 1997 in un attentato suicida palestinese), ha riferito che i passeggeri con cittadinanza israeliana sono stati incarcerati ad Ashdod e attendevano di essere liberati già ieri sera. Gli altri con cittadinanza straniera, portati in una prigione a Holon, verranno deportati al più presto.
Peggio andò lo scorso 31 maggio alle centinaia di attivisti e giornalisti a bordo delle sei navi della Freedom Flotilla dirette a Gaza. In quell’occasione commando israeliani uccisero nove passeggeri della nave turca «Mavi Marmara». Dopo qualche giorno venne bloccata, ma senza spargimento di sangue, la nave «Rachel Corrie» ugualmente diretta a Gaza. Un rapporto diffuso la settimana scorsa dalla commissione d’inchiesta istituita dal Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, condanna severamente Israele per quei raid compiuti in acque internazionali.
Partita domenica da Cipro del Nord, l’imbarcazione ebraica era attesa a Gaza city dall’Ong palestinese «Gaza Community Mental Health Programme». A bordo c’erano una decina di pacifisti ebrei e israeliani tra i quali, oltre a Rami Elhanan, anche un sopravvissuto all’Olocausto, Reuven Moshkovitz, di 82 anni, e Carole Angier, stimata biografa di Primo Levi. Prima della partenza i partecipanti avevano spiegato che uno degli obiettivi della loro missione era spiegare al mondo che non tutti gli ebrei e gli israeliani condividono le politiche contro i palestinesi.
Al ministero degli esteri israeliano che ha accusato i pacifisti di aver attuato una «provocazione» e «di versare benzina sul fuoco dell’odio verso Israele nel mondo», ha risposto Reuven Moskovitz. «Vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in un amico».

Fonte: il Manifesto

29 settembre 2010

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