Tra Siria, Iran e Israele. Le strategie di Erdogan nel risiko mediorientale


Gabriele Cazzulini


La Turchia sta esibendo un notevole dinamismo diplomatico come mediatore per un accordo di pace tra Siria ed Israele e per una risoluzione consensuale della crisi sul nucleare iraniano.


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Tra Siria, Iran e Israele. Le strategie di Erdogan nel risiko mediorientale

La Turchia sta esibendo un notevole dinamismo diplomatico come mediatore per un accordo di pace tra Siria ed Israele e per una risoluzione consensuale della crisi sul nucleare iraniano.
La mediazione tra siriani ed israeliani non è una novità e finora non ha portato a risultati significativi. Ma è l’unico canale diplomatico che ha permesso un confronto indiretto tra Israele e Siria. Il suo valore si sta ulteriormente apprezzando ora che Olmert è in procinto di abbandonare il potere. Le prossime elezioni primarie di settembre per la leadership del partito Kadima designeranno il successore di Olmert in vista delle elezioni generali del marzo 2009. Se il candidato che sfiderà Netanyahu e il Likud sarà l’intransigente ministro dei trasporti Shaul Mofaz, i negoziati di pace saranno a rischio. Mofaz ha cementato la sua carriera politica sull’inalienabilità dei territori acquisiti da Israele nella guerra dei sei giorni. Con la benedizione del partito ortodosso Shas, Mofaz può contendere la leadership di Kadima al ministro degli esteri Livni, cavalcando l’opposizione ad una pace con la Siria che implichi la perdita del Golan. Infatti la campagna elettorale di Mofaz per le primarie ha già appoggiato la proposta di un referendum popolare come mossa per dissuadere il governo dal restituire il Golan alla Siria.
Con questa crescente pressione interna Olmert fa appello alla Turchia per intensificare i contatti con la Siria ed arrivare ad un negoziato bilaterale entro agosto. La richiesta israeliana ai siriani è la rottura dei loro fitti rapporti con Teheran. Sembra la ripetizione di uno stallo già visto se non fosse che ora Ankara si è inserita nella mediazione sul problema del nucleare iraniano. Il prossimo 14 agosto Ahmadinejad arriverà ad Istanbul per una “visita di lavoro” di tre giorni. L’incontro non nasce sotto i migliori auspici. La specificazione sul luogo di soggiorno e il tipo di visita esprime infatti il rifiuto del presidente iraniano di onorare il mausoleo di Ataturk ad Ankara, come imposto dal protocollo delle visite ufficiali. Allora ecco l’escamotage della “visita di lavoro”.
Tuttavia i rapporti tra Turchia e Iran hanno raggiunto alti livelli di cooperazione. Infatti la visita di Ahmadinejad sarà il momento in cui i due paesi sigleranno l’accordo per la costruzione di un oleodotto che aumenterà i rifornimenti di petrolio iraniano per il consumo interno della Turchia. E’ soltanto la sezione ridotta di un progetto molto più ramificato, in base al quale quaranta miliardi di metri cubi di petrolio iraniano dovrebbero transitare attraverso la Turchia per raggiungere l’Austria e rifornire l’Europa.
Mentre Ankara e Teheran stringono i nodi che legano i due paesi, gli Usa non risparmiano critiche alla svolta mediorientale della Turchia. Il presidente americano Bush ha indirettamente espresso la sua perplessità sulla visita di Ahmadinejad ad Istanbul, dopo che gli Usa si erano già opposti al grande oleodotto turco-iraniano. Da parte sua la Turchia costruirà in Iran tre imponenti centrali elettriche, nonostante l’operazione infrange la legge americana del 1996 sul divieto di investimenti in Libia e Iran.
Per comprendere questa crescente sintonia turco-iraniana occorre integrare un terzo elemento. Con la recente strage di Istanbul la lotta al terrorismo curdo è la priorità di Erdogan. Ma il terrorismo curdo colpisce anche Teheran. Perciò è richiesta una sinergia politica che tuttavia non si allinea perfettamente alla politica estera americana in Medioriente, basata su due postulati: l’integrità territoriale dell’Iraq e l’isolamento dell’Iran. Pertanto la mediazione della Turchia con l’Iran non può comportare il rischio di indebolire un’intesa essenziale per risolvere la crisi curda. Per la Turchia che lotta contro i curdi si rivela più utile l’intesa con l’Iran che non con gli Usa. La richiesta israeliana alla Siria di smarcarsi dall’Iran deve tenere conto che la Turchia non è nelle condizioni di sacrificare i suoi rapporti con l’Iran per difendere la causa israeliana. Ma non ci sono ancora alternative alla mediazione turca e il tempo rimasto ad Olmert per un accordo con la Siria è agli sgoccioli.
E così, dopo il mite verdetto della corte costituzionale turca, Erdogan e l’AKP rilanciano la loro iniziativa proiettando la Turchia sullo scenario mediorientale. Il governo dell’Akp è molto più sensibile rispetto ai suoi predecessori verso i confinanti regimi islamici. Ma a differenza di Teheran e Damasco, Ankara punta ad un “soft power” fondato sul suo ruolo di crocevia geopolitico e di forza economica, ottime risorse per un mediatore – ma anche per un’egemonia regionale.

Fonte: www.loccidentale.it

8 Agosto 2008

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