Iran, tortura di Stato e impiccagioni


La Stampa


Il rapporto Onu: oltre 530 esecuzioni capitali in un anno. Il dramma dei diritti umani.


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«La Special Rapporteur si rammarica del fatto che le informazioni ricevute non rivelano alcun miglioramento significativo riguardo la situazione dei diritti umani nel Paese». Basta arrivare al quarto paragrafo nell’introduzione del rapporto presentato il 17 marzo scorso da Asma Jahangir allo Human Rights Council dell’Onu, per trovare questa bocciatura netta dell’Iran.

Molti denunciano le violazioni dei diritti umani nella Repubblica islamica, da Amnesty International a Human Rights Watch. Ad esempio si stima che tra il gennaio del 1980 e il giugno del 1981, quando era caduto Banisadr, 906 oppositori erano stati giustiziati, contro i circa 8.000 uccisi nei quattro anni successivi. La Freedom House oggi giudica «non libera» la stampa iraniana, mentre su questo punto Reporters Without Borders ha messo il Paese al 174° posto su 179 nazioni. La giurista pakistana Jahangir ha però un ruolo sopra le parti, essendo stata nominata Special Rapporteur sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dallo Human Rights Council dell’Onu, e quindi la sua analisi aiuta a capire in maniera obiettiva lo stato delle cose: «Il governo non ha ancora accettato le richieste fatte dal 2002 sull’indipendenza di avvocati e giudici; le esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie; le questioni delle minoranze; la promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione ed espressione; la discriminazione contro le donne; le sparizioni forzate e involontarie; le detenzioni arbitrarie». Jahangir nota gli sforzi fatti dal presidente Rohani, ma sottolinea che su 291 raccomandazioni ricevute nel 2014, Teheran ne ha accettate 131, parzialmente sostenute 59 e bocciate 101.

Tra i diritti civili e politici, il primo ad essere minacciato è quello alla vita. Nel 2016 in Iran ci sono state almeno 530 esecuzioni, che lo mettono al secondo posto nella classifica mondiale dopo la Cina, e spesso le garanzie basilari del processo sono ignorate. «Nell’ultimo decennio la Repubblica islamica ha giustiziato il maggior numero di minorenni al mondo. Nonostante il divieto assoluto in base alle leggi internazionali, il Codice Penale Islamico ancora prevede la pena di morte per i ragazzi con 15 anni lunari d’età e le ragazze di 9 anni». Almeno 5 esecuzioni di minorenni sono avvenute e 3 erano imminenti, con oltre 78 condannati in attesa di essere giustiziati. Il governo, poi, «non ha accettato alcuna delle 20 raccomandazioni sulla tortura, o altre punizioni crudeli, disumane o degradanti». Le confessioni forzate proseguono, mentre la legge islamica giustifica pene come le frustate, le amputazioni o l’accecamento, inflitto ad esempio ad un condannato curdo identificato come Mohammad Reza: «Il governo rifiuta di considerarle torture e le ritiene efficaci per la deterrenza della criminalità». In almeno 18 casi ha negato anche le cure mediche in carcere.

«La professione legale non è indipendente», e meno ancora quella giudiziaria, che ha il diritto di negare la licenza agli avvocati. Almeno 50 di essi sono stati processati «per aver rappresentato prigionieri di coscienza, detenuti politici, e di “sicurezza nazionale”». Il diritto ad un processo giusto è aleatorio, anche perché le leggi sono spesso vaghe e i reati in contrasto con le norme internazionali, come ad esempio «i crimini contro Dio, insultare il Santo Profeta, le relazioni consensuali etero ed omosessuali tra adulti, seminare la corruzione e l’apostasia». Convertirsi dall’islam ad un’altra religione è un reato.

La libertà di espressione, opinione e accesso all’informazione è negata. Nel dicembre del 2016 «almeno 24 giornalisti erano in prigione per attività pacifiche», mentre Mohammad Fathi era stato condannato a 459 frustate per aver criticato le autorità della sua città. La libertà di associazione è minacciata, e «diversi difensori dei diritti umani sono stati imprigionati», come Golrokh Ebrahimi, Arash Sadeghi, Ali Shariati e Saeed Shiraz. Il governo poi «ha rigettato le raccomandazioni volte ad assicurare pari diritti ed opportunità a donne e ragazze». I matrimoni dei bambini restano legali, 13 anni per le ragazze e 15 per i ragazzi, mentre «le leggi che richiedono alle donne di osservare il codice islamico dell’abbigliamento, hijab, continuano ad essere applicate da agenti e cittadini. Le minoranze etniche e religiose, come Baha’i, sufi, cristiani e curdi, restano perseguitate.

PAOLO MASTROLILLI

La Stampa

8 gennaio 2018

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